Passare da una dimensione privata, quasi clandestina, a quella pubblica è un passaggio chiave nella maturazione del proprio rapporto con la patologia. Non è sempre facile parlarne serenamente con amici, conoscenti, colleghi o perfetti sconosciuti senza provare imbarazzo, sentirsi diversi o compatiti, essere curiosi delle loro reazioni. Voi come la gestite?
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Dopo l’esordio la mia cerchia ristretta di affetti fu coinvolta da subito nella mia nuova realtà (genitori, familiari, la mia fidanzata di allora e i miei compagni di università, con i quali condividevo anche l’appartamento da studente) e il loro supporto, la loro vicinanza discreta fu per me di grande conforto, soprattutto perché nessuno (ad eccezione di mia madre che iniziò ad “aver bisogno di essere consolata da me per il suo senso di colpa di “avermi fatto diabetico”) cambiò il proprio atteggiamento nei miei confronti, nessuno in definitiva mi fece sentire “malato” o “diverso”; questa penso sia una delle grandi paure accompagna i “nuovi” diabetici all’inizio della loro convivenza con la patologia e che porta spesso a “nascondere” la propria condizione in ambito sociale; cosa che anch’io ho fatto per anni, ad esempio sul lavoro o in ambiti di conoscenza meno intimi; quello che più di tutto ho cercato di evitare è stato il pietismo patetico di persone che spesso per ignoranza attribuiscono al diabete una connotazione di handicap che rende inabili alla “vita normale” Enrico