L’esordio è un momento topico nella vita di ogni diabetico! Ci raccontiamo e vi invitiamo a raccontare il momento in cui il diabete è entrato nelle nostre vite. Ogni esordio è diverso e uguale e l'esercizio di raccontarlo può essere utile non solo per condividere l’eccezionalità e drammaticità dell’evento in sé ma anche per scoprire come a distanza di uno, cinque o cinquant’anni è possibile tornare con la memoria a quei momenti difficili con il distacco e la serenità (ma anche serena incazzatura o incazzatura e basta) che il tempo e l’esperienza regalano ad ognuno.
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Il mio esordio è avvenuto a dicembre del 2008. Era un periodo che ero sempre molto stanca, ero dimagrita, continuavo a bere e a fare pipì. All’epoca frequentavo un corso di danza africana, ero brava e mi ero iscritta ad uno stage, ma faticavo a seguire il ritmo e ad eseguire i movimenti richiesti, dovevo continuamente interrompermi per bere e poi correre in bagno. Quell'anno insegnavo in una scuola dell'Oltrepò Pavese a più di 40 km da casa e ricordo che a scuola mi veniva il fiatone anche solo salendo le scale e anche parlare a lungo ai ragazzi mi portava stanchezza. In quel periodo avevo allestito nella mia classe prima un allevamento di bachi da seta, e avevo anche organizzato un laboratorio di filatura della seta con un fuso, ma solo il gesto di girare l’aspo mi faceva andare in affanno. Aspettai il primo giorno delle vacanze di Natale per andare a fare gli esami della sangue. Lo stesso giorno venni ricoverata in ospedale in chetoacidosi diabetica; avevo una glicemia superiore a 350 e un valore di emoglobina glicata di 12,6. Venni dimessi il giorno della vigilia. Uno dei miei primi pasti con bolo di insulina fu proprio il pranzo di Natale.
Al secondo anno di università, nel 1994, arrancavo nel seguire le lezioni di Analisi 2 ad Ingegneria, ho iniziato ad avvertire i classici sintomi dell’iperglicemia, spossatezza, sete insaziabile e continuo stimolo a fare pipi… purtroppo nessuno all’epoca era molto esperto di diabete in famiglia, ne evidentemente lo era il mio medico, quindi continuai la mia vita normale di studente interrompendo le lezioni ogni 10 minuti per correre in bagno o a bere, fino a quando la spossatezza mi costrinse a letto, a quel punto il mio medico di famiglia… ebbe la brillante idea di somministrarmi una flebo di glucosio per risolvere questa “debilitazione” per lui inspiegabile e in meno di 15 minuti mi ritrovai in coma iperglicemico cui segui una settimana di rianimazione e terapia intensiva per “riportarmi in vita”. Così io ed i miei famigliari abbiamo scoperto cos’è il diabete.
Essendo uno studente di ingegneria ero, tendenzialmente portato al pragmatismo, cercai all’inizio di concentrarmi sugli aspetti pratici della questione e comincia ad “ignorare” o “negare” le implicazioni psicologiche; come ho imparato negli anni il percorso di accettazione del diabete ed in generale di ogni malattia cronica segue le stesse dinamiche di elaborazione tipiche di un grave lutto o di un trauma e soprattutto è un percorso fluido e assolutamente non unidirezionale; per cui come più o meno tutti sono passato, nel tempo, attraverso varie fasi, nel periodo immediatamente seguente l’esordio ricordo un gran senso di smarrimento seguito dalla “negazione”, dalla rabbia e dalla frustrazione. In quella prima fase senza dubbio fu fondamentale la rete di affetti che mi sostenne nella costruzione della mia nuova realtà, fatta, soprattutto all’inizio, di rinunce e di disagi causati dalla routine terapeutica, che all’ora era molto più invasiva di oggi. Enrico
Io ero una bambina magrolina di 4 anni che beveva litri d'acqua e faceva continuamente pipì... Era il 1981 ed è passato tempo tempo, ricordo però bene il primo "inseguimento" in ospedale per bucare il dito e provarmi la glicemia, i tanti giorni di ricovero in pediatria e la mia mamma che nonostante fosse distrutta ha trovato il modo di parlarmi "come a una grande" e spiegarmi cosa mi stesse succedendo, senza mentirmi ma con dolcezza.